IL VARCO DELLA GATTA (Parte II) -
INTRODUZIONE
Solo in un luogo remoto come i Monti di Orsomarso poteva nascere un "problema sentieristico", per parafrasare i ben più ardui e tecnici "problemi alpinistici" che le pareti e creste delle Montagne più alpestri presentano [1]!
Sentieri talmente lontani dall'uomo, senza segnaletica, inghiottiti da vegetazione, frane e oblio, su cui pochissimi hanno messo piede da decenni. La Valle dell'Argentino è uno dei posti – non solo del (sotto) gruppo dei Monti di Orsomarso e del Pollino, ma dell'intero Appennino centro-meridionale a me noto – in cui più mi piace tornare: perché è perfetta sintesi di una Natura squisitamente selvaggia e relativamente poco contaminata dall'impatto antropico, che si riprende tutti i suoi spazi, un tempo in piccola parte occupati dall'uomo (con attività produttive e micro-insediamenti). A questa latitudine la pianta dello "stivale italiano" misura meno di 70Km da Tirreno a Ionio, ed è quindi naturale che le uniche montagne che fanno da barriera tra i valichi di Campotenese e dello Scalone (il fondovalle del Coscile / Crati / Esaro verso il Golfo di Sibari è più pianeggiante) venissero usate come "scorciatoia" da varie vie istimche, come quella del sale che transitava tra Lungro e Verbicaro... La storia e cultura locale serba ancora i segni delle dominazioni passate: oltre all'imponta magno-greca, restistono più o meno importanti tracce di quella longobarda (VI-VIII sec.) e, successiva, di quella bizantina (Eparchia del Mercurion).
Gli attuali (ma anche storici) accessi principali alla Valle dell'Argentino sono da Ovest (dal centro di Orsomarso e poi risalendo il corso del fiume), da Est (versante di Saracena, attraverso le diramazioni dal Piano di Novacco) e da Nord (Campotenese - Rosolo - Novacco oppure, poco più a ovest, Mormanno - Campolongo - Rifugio Conte Orlando).
La via principale ovest-est, oggetto di questa trattazione, parte da Orsomarso e si tiene prevalentemente sull'idrografica destra (a Nord
del corso dell'Argentino), sterrata nei primi chilometri, ben oltre Povera Mosca e i ponticelli di recente costruzione, fino al vecchio villaggio di Pantagnoli, dopo di ché, quella che era la vecchia mulattiera diventa un sentiero (Golfo della Serra - Fellaro) e infine si trasforma in una labile traccia (attraversamento del Vallone Fornelli - Varco della Gatta).
Questo sentiero, accesso usato probabilmente sin dall'epoca protostorica per addentrarsi in un'importante "riserva di selvaggina", era certamente ben noto durante il ducato longobardo: è probabile che i "nidi d'aquila" di Castel S. Noceto e Castel Brancato (-i), riutilizzati (?) come cenobi ed eremi dai monaci del Mercurion verso il IX-XI secolo, fossero originariamente posti di avvistamento / guardia che alcuni secoli prima i longobardi avevano edificato per pattugliare la via che seguiva il corso dell'Argentino.
Il principale collegamento che attraversa l'alta valle dell'Argentino da nord a sud è la mulattiera che unisce Campolungo a Tavolara, passando alle pendici del M. Palanuda, poi presso il torrione della Pietra Campanara, tenendosi qui sull'attuale confine comunale, per scendere poi nel Vallone Taliano (alla base del quale s'incrocia con il nostro sentiero proveniente dal Varco della Gatta), guadando la fiumarella di Rossale e risalendo via Pietra Palomba o via Mare Piccolo sull'altopiano (Campiglione, Tavolara, Ferrocinto) dove transita(va) la principale via istimica della zona, tra Lungro e la costa Tirrenica (la citata "via del Sale", imperniata sulla locale, storica miniera di salgemma, sfruttata sin dall'antichità).
L'ultima frequentazione pre-escursionistica della zona, al di là dei locali contadini e pastori che vivevano fino ad alcuni decenni fa ai Pantagnoli (i resti delle case sono nel bosco e nella radura, poche decine di metri a Nord della pista che lì transita presso alcune fonti), si deve alle squadre di boscaioli: società come la ditta Palombaro, di Napoli, trovarono nelle foreste (!) del territorio comunale di Orsomarso un vero Eldorado, da sfruttare in maniera industriale e indiscriminata, benché al prezzo di un iniziale audace investimento comportante l'apertura di stradelle di accesso e la stesura di pesanti teleferiche e cavi per il trasporto di attrezzature e legname in/da un luogo relativamente remoto com'è l'alta Valle dell'Argentino.
Oggi è sempre più raro sentire, al di là di Povera Mosca e i Milari, il cigolio delle carrette e il clappettio degli zoccoli dei muli carichi di scorte e materiali: gli amanti di escursionismo e trekking (o qualche biker) sono gli unici a risalire la valle del "Fiume", com'è chiamato l'Argentino a Orsomarso.
Il CAI di Napoli
e le altre associazioni napoletane (U.A.M.) e locali, organizzano in questi luoghi delle gite sin dagli anni tra le due guerre, e ogni tanto le relazioni parlano di bivacchi notturni di fortuna e ritorni rocamboleschi (eppure a quei tempi la valle era più frequentata da montanari e boscaioli). L'istituzione della Riserva Orientata della Valle dell'Argentino (1987, 3990ha) e poi l'inclusione nel Parco Nazionale del Pollino (1993), hanno reso i luoghi un po' meno desolati e più noti di quando vi misero piede F. Tassi e F. Pratesi negli anni '70.
Allora i Monti di Orsomarso (o di Verbicaro, come li appella il Marinelli padre nel suo lavoro geografico divulgativo più noto), non avevano neanche un nome specifico che li identificasse o li distinguesse dal gruppo del Pollino [2] e lo stesso TCI, che si era fatto promotore della conoscenza ed apertura al turismo della Calabria (ma, per le montagne, cullava soprattutto a Sila e secondariamente l'Aspromonte), dedicò al Pollino, "Una Montagna sconosciuta", solo 2 articoli nella sua principale, strorica rivista "Le vie d'Italia", in cui il gruppo in oggetto viene appena citato, elencandone i nomi di alcune cime: Palanuda, Caramolo, Cozzo del Pellegrino, La Mula e Montea [3].
Proposto come area SIC nel 1995, oggi la Valle dell'Argentino rientra anche nella lista dei siti Natura 2000 [4].
VARCO DELLA GATTA: IL TOPONIMO e IL LUOGO
Come ho già dettagliato nella Parte I (vd. nota 1), con rare –ma importanti – eccezioni, gli escursionisti hanno da tempo preso a indicare come "Varco della Gatta", la gola dell'alto corso dell'Argentino e il punto di confluenza delle due fiumarelle (Rossale e Tavolara), in virtù soprattutto dell fatto che il luogo, sulle carte IGM, sta nei pressi di questo toponimo.
Varco della Gatta è però evidentemente connesso all'intaglio sul costone SW del Timpone i Fornelli (1245m), intaglio che le carte indicano (attrono ai 900 m).
Mimmo Pace riporta il nome "Imbuto di Marepiccolo" che gli orsomarsesi usano per designare la gola-confluenza dove nasce l'Argentino (toponimo confermatomi anche da locali), e Francesco Bevilacqua chiama il luogo "Gola del (o sotto il) Varco della Gatta" [5]. F. Bevilacqua dà nei suoi libri una descrizione del varco vero e proprio (quello alto, cartografico) [6] che collima con ciò che mi disse Oscar del Core (prima a telefono, poi anche di persona, al rifugio Povera Mosca), e con ciò che Mimmo Ippolito ricorda che gli fu riferito decenni orsono dall'amico di esplorazioni Pasquale S.: il passo sarebbe un intaglio provvisto di vecchie corde manocorrenti attaccate a grossi chiodi, per agevolarne il transito.
Ma facciamo un passo ... indietro e occupiamoci più da vicino del toponimo:
il fatto che esso sia collegato sulle carte all'intaglio/passaggio del sentiero, non toglie che questo possa essere stato in origine il nome della gola, di ben più notevoli dimensioni e rilevanza geografica rispetto al nostro passetiello, come afferma Mimmo Ippolito (com. pers. 16/9/2020).
Perché il "Varco della Gatta" sarebbe stato "conservato" nella cartografia e il termine "Imbuto di Mare Piccolo" no, restando invece solo un microtoponimo orale?
Ovviamente ciò dipende dal fatto che, come già evidenziai a suo tempo, nessuno si sarebbe mai sognato (specialmente con il regime idrico e le piogge di un tempo) di transitare, semmai con animali e merci, sullo scomodo greto dell'Alto Argentino: questo lo fanno solo gli escursionisti e torrentisti moderni – e unicamente nei periodi più secchi dell'anno– ma la gola in sé non aveva alcun intersse per la viabilità, neppure marginale o occasionale. Era anzi un luogo da evitare!
Altrettanto ovviamente, quella che mi accingo a dare è la mia interpretazione, che si basa su studi e ricerche di livello amatoriale e su fonti assai scarne: per un approfondimento più serio e di maggior pregio, bisognerebbe avere la possibilità di vagliare la documentazione d'archivio del Comune (a Orsomarso e nell'Archivio di Stato di CS), le mappe catastali e forestali, nonché le varie edizioni delle tavolette IGM (1:25000), che potrebbero indicarci la comparsa del nome negli anni '50 del XX secolo, quando il sentiero venne ri-usato dai boscaioli, oppure, forse anche prima... [7].
"VARCO": Dal lat. varicare (varcare, divaricare le gambe, oltrepassare, valicare, svalicare) è legato anche al sinonimo di eguale etimologia "valico" (dial. varcu). [8]
Il termine, come oronimo (toponimo montano), NON indica quindi un aspetto geomorfologico-naturale (come ad es: gola, vallone, canalone, sella, colle, balzo, crivo etc.). Nel lessico geografico, "varco" può indicare una marcata depressione tra due montagne (es.: Varco del Paradiso, Monte Accellica), ma difficilmente questa accezione concorre nella formazione di toponimi. Si tratta invece di un termine esplicitamente legato alla possibilità di transito e passaggio umano (o al massimo di animali, in terminologia venatoria). "Varco" è quindi simile al toponimo "passo", ma probabilmente il primo indica un passaggio più difficile e angusto o che, piuttosto che su di un'ampia sella/colle, ha luogo su uno stretto colletto o in una gola (ma pur sempre praticabile), tra più o meno ripidi versanti o pareti oppure, come qui, su un intaglio che doppia, scavalca o aggira un costone montano o un gradino di roccia.
Cf. Varco della Melogna, sotto Castel di Raione (Orsmarso), che dall'Argentino mena verso sud in territ. di Verbicaro; Varco del Palombaro, tra il Vallone dello Sfrasso/ Vaccuta e il f. Rosa, importante quadrifinio a q. 1002m (tra i territori comunali di Buonvicino, Grisolia, San Sosti e Mottafollone); la località Varco (a sud di Papasidero) attraversata da mulattiera per il Vallone Scaricaprietre, v. IGM 25v; Varco (contrada di S. Severino Lucano), etc... Lo stesso, sopra citato, "Varco del Paradiso", ben noto agli escursionisti campani, è storicamente legato alla frequentazione di briganti, che conoscevano ardite tracce ("passaturi") per servirsi di questa enorme, impervia forcella come scorciatoia o scappatoia.
Il microtoponimo "malovarco" o "malevarco" (meno comune di "malopasso") ricorre talvolta sui passi/ passaggi esposti o pericolosi (per le condizioni geomorfologiche del luogo o per il suo isolamento o la cattiva fama in relazione ad episodi di brigantaggio etc.) ma pur sempre percorribili, che sia per mulattiere, sentieri o su poco battute tracce minori.
"GATTA": Avevo già ipotizzato che, piuttosto che per la presenza o per avvistamenti in zona di specie feline come il gatto selvatico o la lince (però meglio nota localm. come "lupo cerviero" o "gattopardo"), il toponimo potesse indicare il transito su un passaggio da effettuare con "movimento felino" o "nello stretto" o "a quattro zampe", e infatti il Varco della Gatta ha un breve passo (anzi 2), dove può essere conveniente aiutarsi con le mani sulle roccette (è ben inferiore al II come difficoltà alpinistica e poco esposto. Ma è al limite per un mulo e per un bovino, spec. se in discesa, come ho detto a F. Pugliese che giustamente mi poneva il problema dell'eventuale passaggio da lì di animali carichi; com. pers. 15/9/20).
Qui voglio aggiungere una possibile etimologia alternativa del toponimo GATTA: il termine longobardo watha (pronuncia: vata) ha nella toponomastica italiana non di rado l'esito > gatta! (W > G a inizio parola è documentato in molti termini di origine germanica e francone).
Il vocabolo può indicare un posto di guardia, di osservazione per animali al pascolo o di selvaggina/caccia, e attraverso il medio-tardo latino, "sentinella", "luogo di avvistamento"! [9] Cf. anche wahtari = guardiano, che è attestato in molti dialetti meridionali attraverso l'esito "guàttaro", "sguàttaro" o "sguàttero" [10].
In questo caso (ammettendo cioè un longobardismo) si tratterebbe di un toponimo di origine assai più antica di quella ipotizzabile per la "scorciatoia" usata dai boscaioli per arrivare a Mare Piccolo da Orsomarso / Pantagnoli nel periodo dei grandi tagli boschivi (quindi nella prima metà del '900), e sarebbe il residu(at)o di una frequentazione di più di 1000 anni fa!
Vale la pena ricordare che segni "millenari" del passaggio sul sentierino in loc. Fellaro (1,5 Km prima del Varco della Gatta) ce ne sono, anche se bizantini (varie incisioni di croci sotto uno sgrottamento, che ho fotografato nell'estate 2018. Sono state già notate anche da alcuni archeologi).
Toponimi di origine longobarda sono noti nell'area dei Monti di Orsomarso - Verbicaro e dintorni [11]: Schiena di Lombardo, Manfriana, Fonte Spaccazza etc., ma ovviamente la mia interpretazione per il "Varco della Gatta" resta un'ipotesi subordinata a quella principale, in mancanza di ulteriori dati di toponomastica e cartografia storica...
[Francesco Raffaele, 19/9/2020]
ESPLORAZIONE DEL "VARCO DELLA GATTA" DA NORD-EST
(in discesa dalla cima del Timpone i Fornelli)
Nell'estate del 2018 ero ritornato in zona da Povera Mosca ma, una volta oltrepassato il Vallone Fornelli, avevo perso la traccia su frane e mi ero tenuto troppo alto, giungendo in zone relativamente impervie sul far della sera (quella volta ero andato prima su Castel S. Noceto, e mi ero poi attardato salendo su uno sperone in loc. Fellaro).
Stavolta (14/09/2020), torno dal varsante est, dal Piano di Novacco, che raggiungo in auto di notte, all'indomani di due bei giorni di trekking nel gruppo di Montea / La Caccia.
Sono solo ma, da un paio di mesi, ho preso il mio primo smartphone, per esclusivo uso come supporto di Cartografia digitale e GPS: con un dispositivo del genere, muoversi in zone come i Monti di Orsomarso diventa sicuramente più facile, ma anche più "rapidamente istruttivo" [12]. Si ha certezza di dove si è/passa (cosa non sempre ovvia con le sole cartine).
Scavalcato il rilievo a W del Piano di Novacco (sentiero segnato, tra la Serra di Novacco e Costa d'Acine) mi immetto sulla mulattiera principale, andando prima a salutare la Pietra Campanara, e tornando poi a sud dove la sterrata corre lungo il confine comunale Orsomarso-Saracena. Nel punto in cui si congiunge la sterrata del Vallone Fornelli (da qui si rivede la Pietra Campanara), lascio l'arteria principale (che prosegue verso il Rifugio Fornelli o Rif. Mare Piccolo) e m'immetto sul crinale NE del Timpone Fornelli (fototrappola e traccia).
Passate vallecole minori, arrivo in cima (1245m)
e do un'occhiata al ripido versante sud da un belvedere sotto la vetta. Poi mi sposto a W e da sotto q. 1181 IGM, tirata fuori la piccozza, comincio la discesa del vallone che cala a ovest (in realtà non sono quasi mai su pendenze notevoli, ma c'è falasaca scivolosa sotto i piedi e ho i chilometri dei due giorni precedenti nelle gambe). Il primo punto importante è l'elevazione q. 1080 (carte IGM-CdM 1:10.000; sta sotto la q. 1181 delle IGM25), non proprio un belvedere, a causa dei lecci, con una piccola "tana" alla sua base. Da questo punto si diparte verso N (nel Vallone Fornelli) una traccia marcata, probabilm. parallela a quella segnata sulle carte 200m più in basso.
Scendo nel vallone in direz. SW per altri 190m ca. (di dislivello) incontrando vecchie frane (come ce ne sono anche nella sin. idr. del Vallone Fornelli, a questa quota). Sto sui 910m di quota [13] e quindi lascio lo zaino e risalgo (verso ENE) tenendomi ora lungo il ciglio del costone meridionale del Timpone i Fornelli.
A 960m, sotto una rupe di roccia marcia, c'è un canalino ripido: non ho il cordino, che è giù nello zaino, ma non credo che mi ci sarei calato in ogni caso. Questa è certamente l'uscita del ripido canale-rampa che avevo risalito con Francesco Pugliese nel 2017! Coincide perfettamente con il tratteggio del sentiero su IGM25: quasi certamente, nel raffronto con le foto aeree, i cartografi hanno scambiato il canalino con l'intaglio della traccia del "Varco della Gatta". Ecco perché, nel 2017, il GPS di F. Pugliese ci posizionava esattamente lì!
Come avevo già notato, l'andamento del sentiero che porta al "Varco della Gatta" e la sua quota di "svalico", sono differenti tra le carte IGM25 e le IGM/CdM 10k: queste ultime sono la versione corretta, mentre sulle IGM25 il sentiero è riportato più a est, in direzione SE (invece che SSE) e l'intaglio è erroneamente posto a 950 m circa!
Comunque salendo ancora un po', a ca. 1010m, si apre una rupe panoramica, il miglior "Belvedere" di Timpone i Fornelli (è poco sotto/W di q. 1018m delle carte 1:10000). Di fronte c'è il Timpone Camagna e più a sinistra Pietra Palomba, mentre sotto rumoreggiano le fiumarelle che s'incontrano all' "Imbuto di Mare Piccolo" (756m), dando vita all'Argentino.
Questa rupe è descritta da F. Belvilacqua e l'avevo vista anche nei video di Michele Custodero e Gianfranco Viani, che l'hanno raggiunta varie volte: stando alle tracce GPS inserite nei fotogrammi dei video, il loro gruppo ha percorso almeno 2 volte una traccia che entra nel sottostante Vallone Taliana, da poco a monte (!) della rupe (ossia poco sopra q. 1018 m)! [AGGIORNAM. (19/11/20): la cosa mi è stata successivamente confermata da Michele Custodero (comunicaz. telefonica a nov. 2020) che ha escluso che lui/loro abbiano percorso anche un intaglio più in basso sul costone SW del Timpone Fornelli].
Quindi il "Varco della Gatta" non è l'unico punto in cui è possibile discendere dal costone sud del Timpone Fornelli per calarsi nel bacino della Fiumarella di Rossale, essendoci anche un passaggio più alto (poco sotto q. 1100 m), diretto nel Vallone Taliana!
Ritorno verso il basso ripassando presso il canalino sotto la rupe, poi riprendo lo zaino e scendo un altro po'. Verso q. 880m, ecco una traccia più marcata che viene dal basso (W) e va ad un intaglio alla mia sinistra (S): mi affaccio pensando alla solita traccia di chinghiali. E così è... Ma non solo. Al di la di un facile saltino di roccette (I+/II-) prosegue dritto un sentierino. Non perdo tempo a verificare eventuali possibilità di discesa ancora più in basso (ci sarà un altro passaggio a quote inferiori per scendere alla Fiumarella, o c'è parete?).
Nel discendere il breve tratto noto un grosso, vecchio chiodo cui un tempo doveva essere fissata una corda per facilitare la discesa. Ormai non ci sono più dubbi: non sarà una cengia panoramica ed esposta come avevamo creduto, non è un passaggio spettacolare, ma il punto è certamente quello! Finalmente il VARCO DELLA GATTA!
Poco più avanti, dopo un tratto dritto, sempre nella lecceta, un altro facile passetto con un paio di chiodi, dopo di ché si entra nella destra idrografica della Fiumarella di Rossale, nella zona di vaste, vecchie frane cadute dal versante sud del Timpone i Fornelli.
E pensare che, quando nel 2017 con F. Pugliese raggiungemmo il canale che credemmo fosse il Varco della Gatta, io scesi prima sotto-parete per altri 40m circa di dislivello a verificare che non ci fossero altri "passaggi": credo che in quell'occasione, se avessi camminato un altro minuto, sarei arrivato all'evidente tracciolino che sale (WNW) verso il Varco!!
Un fragoroso urlo gutturale-bestiale risuona nell'Alta Valle dell'Argentino! Erano troppi anni che mi portavo addosso sta gatta!
Traverso verso ESE per calarmi ad attraversare la Fiumarella di Rossale, salgo dritto dall'altra parte fino a incontrare una pista che sale a "Mare Piccolo".
Resterò quasi un'ora a girare tra i resti di "archeologia industriale" dei baraccamenti che c'erano a Mare Piccolo fino a 75 anni fa, ai tempi dei grandi tagli boschivi del dopoguerra: il grande cavo-madre della teleferica centrale è ancora lì (più o meno dov'è cartografato sulle IGM25), i cavi d'acciaio secondari, traversine e carrelli di decauville, ciminiere di fornaci in lamiera e vari oggetti più piccoli usati dagli operai, oltre ai corsi inferiori delle pietre alla base delle costruzioni, baracche in legno di cui non resta più nulla. Presso le sorgentine, i pantani sono quasi secchi, così come gli enormi farfaracci che qui si ergono ad altezza d'uomo... Sono ancora ritti, ma toccandoli sembrano "croccanti" per la lunga siccità. A ritorno sentirò i tuoni, ma per le vere piogge bisognerà attendere fine settembre!
Risalgo in dir. SSE trovando la labile traccia della vecchia mulattiera Mare Piccolo - Tavolara, riportata sulle IGM (grazie al gps, ma in ogni caso anche fuori traccia ci si arriva: non è zona impervia) e verso i 1250m giungo sulla sterrata Tavolara - Piano di Vincenzo. Ma c'è tempo e quindi invece di scendere proseguo con ampio giro sulla stradina per Tavolara e il suo Laghetto (1200m ca.), e più tardi passo per la sorgente Tavolara dove prendo l'acqua (che però non potrò bere perché mi accorgo che dentro ci nuota una ninfa d'insetto) e quindi, sempre per sterrata in dir. NNE, verso il Cancello di Rossale (dove libero la larva), Piano di Vincenzo e Piano di Novacco. A ritorno esco momentaneamente dall'AS a Lagonegro Nord per una meritata cena "Ai Carconi".
[Tot. anello: 19,5 Km, +/- 1100m disliv., 10 ore e mezzo; nessun animale particolare avvistato e niente zecche!].
[Francesco Raffaele, 5/10/2020] |
NOTE:
[1] Riprendo qui il discorso interrotto un paio di anni fa (vedi link, escursioni 10-11/8/2017) essendo finalmente riuscito a raggiungere l'intaglio che dà nome alla zona. Eviterò di ripetere ciò che ho già scritto nel testo e note del 2017, ma approifondirò alcuni aspetti, nati nelle discussioni (anche via web) con gli amici escursionisti e alpinisti calabresi, lucani e pugliesi.
[2] G. Marinelli, La Terra, vol. IV.1 (sd, ma c.1897), p. 240.
[3] "Le vie d'Italia" fu edito dal TCI tra il 1917 e il 1967, inizialmente a complemento della Rivista Mensile del TCI, che fu soppiantò del tutto.
Al Pollino venne dedicato un articolo nel 1961 e un altro nel (dic.) 1966 (quello che cito, di G. Geron, p. 1490).
[4] SIC (IT9310023) di 4295ha, approv. dal 2017.
[5] Cf. i riferimenti precisi nella Parte I (link in nota 1).
[6] Cf. anche F. Bevilacqua, in: Apollinea, Nov-Dic 2011, p. 12, per la descrizione del breve passaggio "attrezzato" con chiodi (percorso da W a E sotto la guida di Francesco Sangiovanni, di Orsomarso, provenendo in discesa dal Vallone Fauzofili, all' omonima cascata, per poi risalire parte del Vall. Fornelli, traversare al Passo della Gatta e rientrare attraverso Marepiccolo e Pietra Palomba su Campiglione - Fonte di Novacco - Canale del Sardo, dove transita la stradella per Verbicaro).
[7] Le Carte borboniche del R.O.T. di Napoli, 1:50000 (1862-76), come le moderne IGM a stessa scala, non riportano il varco né il sentiero, che compare solo sulle edizioni IGM 1:25.000 e sulle Cartine IGM per la Cassa del Mezzogiorno, scala 1:10.000, c. 1954.
[8] Meyer-Lübke, REW, 1935, 9153; Prati, 1951, p. 1029; Conti, Territ. Term. geogr. Lazio, 1984, p. 277; Marcato, in: Diz. di Topon., 1990, s.v.: Montevarchi; Pellegrini, Topon. Ital., 1990, p. 206.
[9] Du Cange, Glossarium..., 1688, s.v. Wactae (ma cf. anche ibid., Wacta = vadum, "guado"). Cf. il simile lat. "Sculca", dal germ. skulk ("pattuglia esplorativa", "posto di vedetta", nel noto articolo di F. Sabatini., Riflessi linguistici della dominazione longobarda..., 1963, riedito nel 2015.
[10] F. Sabatini, op. cit., (2015), p. 434.
[11] Cf. J. Trumper et al., Toponomastica Calabrese, 2000; L. Di Vasto, Strutturazione toponomastica dei territori di Laino..., Papasidero e Orsomarso..., in Prantera et al. (ed.) Parole..., 2010; pp. 387-424; id., Stratificazioni linguistiche negli idronimi del Parco del Pollino, in: RION, XIX-2, 2013, pp. 533-570.
[12] Ho "dovuto" comprarmi lo smartphone per un lavoro di ricognizione del "Sentiero Italia" CAI, che verrà pubblicato nel 2021 in 12 volumi, dall'editore "Idea Montagna".
Mi sono orientato su uno smartphone perché mi è stato assicurato che la differenza di ricezione dei segnali satellitari rispetto a un GPS "entry level" è minima (questi dispositivi hanno dalla loro la non irrilevante presenza di un'antennina esterna, ma pare che gli smartphone dispongano di una maggior copertura di satelliti, fino a c. 40). La scelta è stata però dettata soprattutto dal display molto più grande dei telefonini: in montagna metto sempre le lenti a contatto e quindi la distanza minima di messa a fuoco dei miei occhi aumenta fino a rendermi difficile leggere le carte topografiche (col buio, alla fioca luce di una torcia, mi diventa quasi impossibile).
E' quasi inutile aggiungere che l'uso di "GPS" ti dà un quadro assai più fedele e dettagliato delle caratteristiche orografiche e, più in generale, delle escursioni (in particolare di quelle "esplorative"), sia sul posto che "a posteriori". Ho sempre guardato con un po' di sufficienza i "gps-dipendenti" (o quelli che cercano la traccia dei sentieri sul web), perché mi sono reso conto di quanto ho imparato sbattendo la testa sulle "carte"! Però è innegabile che in certi casi non è possibile avere la certezza del punto preciso di dove si è, dove si sta andando o "dove si è passati", quindi per una soddisfacente conoscenza dei luoghi, usando carte, bussola e altimetro sono necessarie più escursioni, cosa che il gps ti può evitare (ricordo certe uscite per cercare l'entrata di alcune grotte...). Quindi il "più rapidamente istruttivo" nel testo, significa che s'impara prima: d'altra parte questo già lo sapevo e infatti in vari casi in cui ho camminato in esplorativa con amici che "registrano la traccia", mi sono fatto mandare il file gpx oppure una "stampata zenitale" del percorso (da sovrapporre poi su tavoletta IGM digitale, per capire precisamente la via fatta).
Ho imparato a georeferenziarmi le carte (IGM25, le Carte Tecniche al 5000 etc.; molto utile anche il supporto OSM su un file di 1,5 Gb che copre tutt'Italia, e contiene i sentieri CAI e molte tracce secondarie, le sterrate nuove, oltre alla viabilità stradale) e uso su PC gli ottimi Global Mapper, Ozi Explorer e una versione trial di Land (ex CompeGps).
Lo smartphone acquistato è uno Xiaomi Redmi 8 Pro cui ho abbinato il buon software (per Android) Oruxmaps (7.44).
La precisione del rilevamento è quasi sempre nel range di pochi metri, e raramente "sballa" oltre +9/10m anche sulla quota*. Persino in valloni o canali tra pareti, pur con brevi picchi, resta sufficientemente attendibile! Potersi posizionare all'istante sulle diverse mappe è molto "educativo", così come lo è la possibilità di annotarsi caratteristiche di ciò che si vede, grazie agli "waypoints". *[Occasionalmente, nel fitto di alte faggete che ricoprono valloni incassati, ho notato che la quota rilevata può variare anche nell'ordine di alcune decine (!) di metri rispetto a quella delle quote e delle curve di livello delle carte IGM o CTRN, mentre le coordinate di lat/long della "traccia" restano più precise].
Avendo il Redmi 8 Pro una buona batteria, e usandolo solo come GPS (non ho neanche la sim card dentro) con tutte le mappe caricate nella memoria locale, il consumo di batteria è sul 30% (della carica totale) al giorno (in questa occasione dei giorni 12-14/9/2020 ha consumato c. 50% per i primi 2 giorni di trekking e un altro 35% per questa uscita di 19 km, quindi sono tornato con +10% di carica).
- Dopo quasi 2 mesi di uso di "gps" direi che benché si perda una parte dell'avventurosità dell'esplorazione effettuata quasi "al buio", diventa incredibilemente facile ritrovare tracce di antichi sentieri quasi del tutto spariti, riuscendo a seguirli! Avere maggior sicurezza e "cognizione" dei luoghi, porta a rischiare anche un po' di più!
Ringrazio per i consigli, aiuti e materiale fornitomi gli amici (reali o virtuali), in particolare: Massimo Gravili, Michele Renna, Elio Dattero e Lorenzo Grande.
[13] Le quote non sono quelle GPS (che qui segnava di fisso c. 15m in eccesso) ma quelle della posizione (che era invece precisa) letta sulle curve di livello della carta 1:10000 (la 1:25:000 è qui poco affidabile; cf. sotto).
BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE E CITATA:
vedi in calce alla pagina del 2015
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