"Il Sentiero senza Dei"
Paipo - Monteluongo - Vallone Grarelle - Q. 1064m IGM - Cuollo 'a Furcina (Colle della Forcella, q. 1159 CTR) - Frana del M. Catiello, alto Vallone Porto - Vallone della Lontra -
Le Tese - Caserma Forestale - "Sentiero alto degli Dei" (Via comunale Conocchia, sent. CAI 329) - Passo della Lontra - Frana - Campo dei Galli (Camp' Riali) - Capo Muro - Paipo

(6 giugno 2019)

 

"IL SENTIERO SENZA DEI" – La Montagna è in molte religioni e credenze antiche e moderne (per più o meno ovvie ragioni) lo spazio deputato a dimora divina. E' anche il teatro in cui hanno luogo accadimenti sovrannaturali, leggende, miti cosmogonici, che emergono dal retaggio degli archetipi umani ridondando, con caratteri ricorrenti e affini, anche tra culture di zone ed epoche assai lontane tra loro. Dalle epifanie divine (M. Eliade) di popoli politeisti e "primitivi", alle religioni di culture più "evolute" e complesse, dai passi biblici dell'Antico Testamento fino alle agiografie dei santi cristiani, troviamo innumerevoli esempi di "Montagne sacre", se non addirittura di monti ritenuti il "centro del Mondo" (axis mundi). Non sorprende, quindi, che l'uomo abbia non di rado dato ai monti denominazioni legate all'immaginario mitico-religioso, alla sfera del soprannaturale, anche in conseguenza dei precipui caratteri esteriori delle cime: la monumentalità, ossia schiacciante maestosità della loro altezza (/ grandezza) e la misteriosa inaccessibilità del loro spazio, una dimensione quasi ai confini del reale, in un territorio diametralmente opposto a quello che è regolato dalle leggi umane e soggetto alle umane ingerenze. Forse questi aspetti sono anche i motivi che spingono gli appassionati ad approcciare la Montagna, pur nella diversità dei modi, delle pratiche e delle ragioni con/per cui ciò avviene oggi. Senza scendere qui ulteriormente in profondità, passo al termine "Dèi" che, inteso in senso generico, nella sua accezione colta, non lascia molte tracce nella toponomastica (non solo montana), se non in epoca assai recente, in concomitanza con la nascita del "turismo di massa" (ma forse già con echi nella letteratura odeporica del Gran Tour) quando, ai fini propagandistici e pubblicistico-pubblicitari, vengono coniati toponimi "evocativi" che rappresentino il più efficace documento d'identità, assieme a qualche immagine emblematica, della località che s'intende promuovere o "valorizzare turisticamente". Ecco quindi nascere nuovi nomi più "invitanti" e suggestivi per luoghi come "Valle Fiorita" (...) in luogo del vecchio "Le Forme" (canali d'irrigazione) e tanti altri, ovvi esempi di neocolonialismo turistico delle valli e degli altopiani appenninici presi di mira da speculatori e imprenditori "dis-illuminati". Ma i toponimi e gli appellativi, inclusi quelli "divini", possono nascere anche da sinceri sentimenti di passione ed emozione, com'è il caso proprio del "Sentiero degli Dei" che Ettore Paduano (CAI Napoli) fu tra i primi, se non il primo, a definire tale e a inserire nel programma nelle gite sociali che, per un secolo, gli avevano preferito la traccia più in quota (ossia la "via comunale Conocchia" del catasto di Positano, oggi "Sentiero degli Dei alto"; cf. la mia introduzione a questo LINK). Parimenti sincera e poeticamente ispirata (dallo stesso "Sentiero degli Dei" o dal wagneriano "Crepuscolo degli Dei" o da divinità arboree?) la denominazione del "Giardino degli Dei" sul versante meridionale di Serra di Crispo (Monti del Pollino, in Basilicata), che il grande Giorgio Braschi – sicuramente ben lungi dal volersi ergere a "topogono" (!?, ideatore di toponimi) – usò come calzante appellativo per descrivere il panorama "apollineo" di quella lenza o poco meno (lenzuolo) di terra presso la "Grande Porta del Pollino", dove la Natura ha creato, grazie ai pini loricati e allo scenario che li circonda, un ambiente francamente unico, per molti versi "liminale", ma oggi solo in situazioni particolari, essendo alla portata di tutti (inclusi i mezzi motorizzati), quindi in costante pericolo (anche in considerazione di un inesistente servizio di guardiaparco – e forse di un ineristente "Parco"! Ma sto divagando ed è meglio che ritorni sui Monti Lattari, agli Dei della Campania.
Oggi, sentieri, vie e coste degli dèi (e compagnia bella) vanno moltiplicandosi ovunque, in ragione direttamentre proporzionale ai camminatori che li affollano ... e inversamente alle entità numinose che invece, per forza di cose, finiscono per allontanarsene. Purtroppo alla Montagna, così come alla Natura, l'uomo –specialmente se sotto forma di "marmaglia"– non giova, e attualmente pare inevitabile che sulle montagne si debbano riversare folle e carovane di entusiasti. L'uomo spesso non conosce il senso della misura e cerca di sfruttare più che può ciò che la Terra gli dà. "Tanto vale l'uomo, tanto vale la sua terra", dicevano i contadini! Ciò, purtroppo, vale anche se riportato all'intera Umanità in relazione con la Terra. Più che l'aumento di popolazione (che da anni è annullato dalla crisi economica e da altri fattori), all'affollamento dei monti ha contribuito prevalentemente "la Rete", con i tanti siti Internet e il furioso tam-tam dei "social networks". Con il risultato che alcuni sentieri sono diventati come certe spaigge italiane in agosto: brulicanti di gente (di ogni risma). Dove c'è la massa c'è sempre chi cerca di trarne giovamento (o di approfittarsene) offrendo servizi, più o meno necessari e opportuni e in maniera più o meno professionale (e lecita)! Varie forme di tecnologia applicate all'escursionismo e all'alpinismo hanno aperto le porte a un sempre più massiccio assalto di alcune zone un tempo selvagge da parte di escursionisti, associazioni e guide "fai-da-te", forti delle loro tracce gps scaricate dai tanti siti dedicati. Io non ho nulla contro la <fruizione aperta a tutti> delle bellezze del Mondo, ma penso che certe cose bisognerebbe in qualche modo meritarsele ancor prima di guadagnarsele! Però le strade, la tecnologia e i soldi finiscono per abbattere ovunque quella barriera tra Uomo e Natura, con il risultato che quest'ultima è sempre più alla mercé del primo, sempre più esposta alla commercializzazione, all'assalto in massa, alla banalizzazione e soprattutto al degrado e al rischio di svanire per sempre.
Oggi il proliferare di "Cammini" e di "Sentieri" con nomi ad effetto creati ad arte, è quasi sempre un inequivocabile segno che qualcuno sta cercando di vendervi qualcosa! A fronte di pochi escursionisti e guide che camminano e operano con passione, cercando di recuperare brandelli culturali del passato, storie e toponimi antichi, e selezionando i compagni (o clienti) nelle gite, c'è una vrangata di "esperti dell'ultima ora" che ha solo avuto l'intuizione di fiutare un modo facile per arrotondare gli introiti e che si arrangia alla bell'e meglio fregandosene altamente del contesto in cui ci si muove. Trovano sul web le foto del luogo ad effetto, si procurano le tracce gpx, fanno il sopralluogo e poi propongono ai clienti l'escursione. Ma ciò che li muove è principalmente il soldo! Siamo quindi alla stregua di certi organizzatori di "trails" e altre competizioni montane, quelli che inguacchiano di vernice ogni 5 metri di sentiero –o, quando va bene, lasciano chilometri di nastri di plastica che lì rimangono, se non passa qualcuno che glieli raccoglie o qualche capra o cavallo che se li mangia– per fare cassa con le iscrizioni...
Purtroppo poi, i "termini della questione" non sono sempre così netti: anche persone profondamente appassionate e documentate, possono involontariamente arrecare qualche tipo di danno con il solo passaggio o l'accesso in una grotta, o il disturbo di una specie faunistica o floristica o anche solo con la diffusione di immagini che, nel tempo, provocherà una reazione a catena con decine e decine di ulteriori "passaggi" e "disturbi" ad habitat, ecosistemi e microzone.

Forte di una passione giovanile per i monti e di più recenti coinvolgimenti per la toponomastica, la cartografia, le vecchie descrizioni delle escursioni e per la ricerca (a livello dilettantistico) di carte e documenti d'archivio, mi piace ogni tanto condire con esse i reportages fotografici (anche quelli di taglio puramente documentativo e amatoriale: fare fotografia come s'intende oggi m'interessa sempre di meno, perché implica un'attenzione troppo marcata per gli aspetti tecnici che, non tanto al PC ma soprattutto sul campo, tolgono troppo all'esplorazione e al godimento dei luoghi). Ma sempre più forte avverto una sensazione di "disagio", se non di vero pericolo, che la diffusione senza filtro delle nostre bellezze possa rischiare di fare dei danni ai luoghi. E che la sponsorizzazione del "bello", debba cedere il passo a un più cauto, egoistico e quasi esoterico "tenerseli per sé", per evitare che finiscano nel gran calderone dell'industria dei selfie, o nelle mire di guide poco attente a chi si portano dietro e dove! Ciò vale soprattutto per i luoghi più accessibili. E' allora un evidente controsenso mettere foto e dati di posti come questo? Da un lato sì ma, data la natura del luogo, credo che esso resterà ad esclusivo appannaggio di pochi avventurosi ("imprudenti"), e un minimo di presenza umana potrebbe inoltre in qualche modo servire a disturbare i cacciatori di Positano e Agerola che, indisturbati, bazzicano da sempre da queste parti. D'altra parte, chi dovesse avere problemi (v. sotto) nella zona della frana, metterebbe in pericolo anche eventuali soccorritori. Ma qui nessuno sano di mente accetterà di portare inesperti escursionisti della domenica. La traccia del sentiero è riportata sulle carte IGM, quindi non c'è molto da "nascondere"; ho conosciuto chi l'ha percorsa prima dell'evento franoso e sicuramente qualcuno ancora ci passa (non mi meraviglierei che prima o poi finisse riportata su Wikiloc e in Open Street Map... a uso e consumo di quelli che camminano solo col gps in mano, tipo tom-tom un automobile) e prima o poi anche qui un minimo di flusso escursionistico inizierà a prendere piede.
Termino questa mia "introduzione-sfogo" con un appello a chi CREDE di andare in Montagna per amore della stessa e della Natura: SE DAVVERO AMATE LE MONTAGNE, se siete alla ricerca dei luoghi più SELVAGGI e impervi, dove regna la solitudine, fate in modo che chi ci andrà dopo di voi TROVI QUEI LUOGHI COME LI AVETE TROVATI VOI! Ossia, che li ritrovi tanto nelle stesse condizioni, quanto con le stesse modalità: con il fiuto ('a uosimo), con l'analisi delle carte (in formato cartaceo o digitale che siano), con il sudore, la fatica, con la propria testa e le proprie forze, NON grazie a una traccia gps. Se diffondete tracce online perché credete di "vincere qualcosa" essendo i primi a farlo, siete degli illusi, oltre che dei perdenti, perché state solo contribuendo all'affollamento della Montagna. Quindi, a mio parere, OK ai gps, tracce e OSM, ma solo per i "sentieri principali". La corsa spasmodica a registrare TUTTE le tracce e i sentieri esistenti in montagna (al di là di quelli segnati dal CAI o riportati sulle carte IGM / CTR) non ha alcun senso, "segnare" e riportare le vie esplorative (o semmai anche le vie alpinistiche...) toglie il senso di AVVENTURA, priva la Montagna del suo fascino intrinseco, riducendola ad una confortevole e preconfezionata copia delle nostre città, belle o brutte che siano. Purtroppo mi rendo conto che i più non sapranno/vorranno rinunciare ad andare in Montagna "a botta sicura"!
Chi è mosso dall'interesse primario di tappezzare ogni angolo montano di cartelli e vernice –o anche di informatizzare tutto ciò che si cela tra valli, crinali e pareti– sta cercando di "antropizzare" o ADDOMESTICARE IL SELVAGGIO: che lo faccia in buona fede o per un mero tornaconto personale, poco importa! Ma è segno che quello NON E' IL SUO AMBIENTE, e che darebbe meglio che se ne restasse in città, orientandosi con cartelli stradali e info-points. Facciamo in modo che in Montagna continui ad esistere la VARIETA', sia degli ambienti biotopici che nei gradi di accessibilità dei luoghi! Evitiamo che altri "Sentieri degli Dei" vengano "valorizzati" (sfruttati e ridicolizzati) alla "nostra maniera" –ossia a dismisura – e che le amate Montagne cadano preda degli "eroi del selfie", di quelli che ci vanno solo per "monetizzare", di chi coglie orchidee e lascia mascherine, di sindaci e burocrati senza scrupoli, senza rispetto per la Natura e senza Cultura!
Mi rendo conto però, che questi "precetti" lasciano il tempo che trovano e che, con il passare del tempo e l'aumento del numero di Escursionisti, luoghi meravigliosi quanto fragili ed "esposti" (perché accessibili, rinomati e commercializzati) come la "divina" Costa d'Amalfi (patrimonio UNESCO), rischiano di soccombere nel giro di pochi decenni! Non è ultra-pessimismo eco della recente pandemia: la maggior parte degli escursionisti-alpinisti a queste cose non ci fa caso ma, credetemi, per molti versi questo processo di degrado è cominciato già dai primi anni 2000, e siamo tutti un po' colpevoli!

DESCRIZIONE - Il tracciolino pastorale oggetto di questo "reportage" è il raccordo alto che traversa nel grande anfiteatro rivolto verso il mare, tra il costone del Campo dei Galli (a est, a monte di Nocelle) e quello della Lontra / Conocchia (a ovest, sopra Montepertuso). Transita attorno ai 1100m di quota alla testata del Vallone della Lontra e Vallone Porto, su ripidi pendii e cenge erbose dei versanti meridionali di Conocchia, Molare, Canino e Catiello (M. S. Angelo a Tre Pizzi), ossia la Montagna della Conocchia, in territorio di Positano (SA). Più o meno saltuariamente percorsa da escursionisti (soprattutto dal dopoguerra) oltre che dai pastori positanesi e, purtroppo ancor di più, dai soliti cacciatori e bracconieri e cartografata sulle IGM (alla scala 1:25000 e solo nelle edizioni più "recenti": quelle da fine dell'ottocento agli anni '40 presentavano una resa dei versanti più acclivi del S. Angelo a Tre Pizzi derivata dalla scala al cinquantamila, quindi erano orograficamente meno precise e meno realistiche anche rispetto alla vecchia carta del R.O.T. della prima metà dell'800, 1:25000).
Il 12 agosto 1923, A. Robecchi, C. Capuis e D. Travaglini (Cai Napoli), salgono a S. Maria del Castello e da lì traversano sulla mulattiera e tentano di risalire direttamente "il ramo destro del Vallone di Arienzo" (= alto V.ne Porto, NdFR), ma poi si portano "all' attacco sud della Punta Cardara" e salgono sul Canino, da dove, scendendo per la cresta verso la sella Canino-Molare, Capuis tenta di salire su quest'ultimo (per "terriccio franabile ed erbe secche", quindi sulla parete N dell'Anticima E del Molare, NdFR). Scoraggiato dalla natura della parete e dal distacco di "pezzi di roccia friabile", Capusi desiste e i due si calano "con discesa piuttosto movimentata" e "con corda doppia" sul "Sentiero dello «Scalandrone»", poi passano all'Acqua Santa e da lì per la Fattoria Giusso del Faito scendendo poi a Castellammare. E' la prima attestazione a me nota di un tentativo di approcciare i due pizzi minori da sud, e tra l'altro in quest'occasione ha luogo il primo passaggio documentato alla Sella Molare-Canino (Sella Castellano nella Guida CAI-TCI di L. Ferranti, 2010, p. 165, dov'è da rettificare la data della prima discesa dal Canino, essendo quella del 1925 lì riportata, sempre da parte di Capuis e compagni, la seconda documentata sui bollettini). I tentativi di ascensione da sud continueranno e interessanti sviluppi (sempre ad opera di Capui e soci) ci saranno nelle uscite del 14 e 21 marzo 1926 (Boll. CAI NA, 1926/4 p.3). Successivamente alcune relazioni di gite compiute 70-80 anni fa (CAI Napoli, UAM: 2/2/1958, dirett. E. Madia, ma in realtà la guida è l'alpinista napoletano Franco Canzanella; poi il 25/11/1962, dirett. G. Ferorelli, ampia relaz. V. Ricciardi, 1546a gita UAM.. etc.), menzionano la diramazione alta della via principale (Moiano - S. Maria a Castello - Caserma Forestale - Campo dei Galli - Paipo - Agerola) usata come avvicinamento da sud alla sella tra M. Canino e M. Catiello (o Cardara), ossia Bocca dell'Inferno, per salire su uno dei due "pizzi" minori. Si citano i "giovani cipressi" sulla parte ovest (che la Forestale piantò negli anni '20). Sulla scorta di sopralluoghi in solitaria, il forte e biondo alpinista anglosassone David Benbow (che ho conosciuto di persona al CAI di Avellino e poi rivisto nella sede di Salerno, città dove vive con la sua famiglia, e di cui di cui tanto mi aveva già parlato l'amico Massimo Mingarelli, che con lui ha condiviso molte avventure alpine) guidò un gruppo di soci del CAI di Salerno nel gennaio 1995 in un'escursione invernale da Nocelle al Canino e al Catiello, risalendo su chiazze di neve per un percorso "nuovo", incorciando vecchi sentieri alti, utilizzati alcuni dei quali –ancor oggi – da pastori, a strapiombo sui sottostanti valloni, nei cui slarghi e dentro le cavità della roccia i pastori hanno ricavato aerei stazzi per pecore. [...] Giunti a quota 900-1000 si abbandonano del tutti i vecchi sentieri e ci si comincia ad inerpicare proprio dentro il vallone che separa il Monte Canino o "Monte di Mezzo" dalla vicina Montagna "Cardara" o "Catiello". David comincia a "provare" le nostre capacità alpinistiche facendoci fare passaggi obbligati su roccia dov'è necessario l'uso delle mani... (E. Capone, VdP, Genn-Apr 1995, p.11).
La diramanzione occidentale di questa traccia alta è visibile dalle Tese a monte della Caserma Forestale di Positano (CAI 300) e il "sentierino" si mantiene c. 200/250m più in quota del "Sentiero degli Dei Alto" (CAI 329, che in questa occasione io ed Elio abbiamo percorso col buio al ritorno). Inequivocabili tracce di cacciatori o bracconieri si trovano in questa zona, che ha dei raccordi con il sentiero inferiore. Dal Vallone della Lontra, la traccia presenta alcuni passaggi da compiere con cautela in corrispondenza dell'attraversamento dei fossi; nel settore orientale la traccia SI PERDE quasi del tutto, cancellata dalla Frana del 4 gennaio 2002 che ha riversato 60.000 mc di enormi macigni nei due rami alti del Vallone Porto! Qui, oltre alla necessità di districarsi in ambiente abbastanza severo e con pendenze NON da normali escursioni, si aggiunge la pericolosità del passaggio sotto la parete da cui si è staccata la frana, visibilmente fratturata e monitorata dai geologi tramite appositi targets. Dopo le piogge (o con le gelate e al disgelo) c'è –e sempre ci sarà! – il pericolo di distacchi più o meno consistenti. Ma non è detto che ciò non possa verificarsi in qualsiasi altro periodo-stagione. Una zona quindi per forza di cose pericolosa (!), dove non ci sono né mai ci saranno degli "Dei" in grado di proteggere da eventuali "sfighe" né tantomeno quegli Dei che attirano la maggior parte dei camminatori e che hanno fatto la fortuna di tanti "speculatori dell'escursionismo".
L'escursione in oggetto, con l'amico Elio Dattero, aveva inizialmente altro obiettivo: iniziò con l'esplorazione da Paipo del Vallone Grarelle, poi, una volta tornati sul sentiero principale per Campo dei Galli, ci dirigemmo verso le roccette e la crestina (q. 1064 - 1137m IGM) e, giunti alla selletta a N di q. 1165m IGM ('o Cuoll 'a Furcina, come riportato l'anno successivo a Elio da alcuni cacciatori), individuata la traccia che da Capo Muro sale diretta alla forcella, capimmo che l'intero sentiero (da tempo da noi studiato e fantasticato) doveva essere ancora percorribile, al di là del tratto obliterato dalla frana. E così fu. Lo percorremmo in senso est-ovest fino ad immetterci sul sentiero CAI 300. In questa occasione ebbi inoltre la sicurezza della fattibilità della salita da sud alla "sella Molare - Canino" (Sella Castellano in alpinismo), salita semi-alpinistica (F, max passi II+) di cui non ho trovato notizie di precedenti realizzazioni, ma che dev'essere certamente stata alla portata dei pastori di un tempo e, oggi, delle capre: la effettuai in solitaria il 20/10/2019. Spero di aver dato un quadro chiaro della situazione e che chi voglia andare alla ricerca del bello, sia conscio sia delle proprie capacità che dei rischi che corre. Buone camminate a tutti e RISPETTATE "LA NATURA" DEI LUOGHI! Gli DÈI (e i demoni :) ) vi osservano, anche là dove forse molti camminatori non avranno occhi per scorgerne ! [Francesco Raffaele, 9/2/2021]


Dopo una digressione per labili tracce dentro il Vallone Grarelle, rietriamo sul sentiero prinipale (CAI 329)


La Frana del Monte Catiello e la preesistente spaccatura su ciglio di q. 1326m



He² (Elio al quadrato)





Il "cuore" del Molare








'o Cuoll' 'a Furcina





Frana del 2002. Lo sperone Vena spaccata incombe pericolosamente sul tratto da percorrere.


Sotto la Vena Spaccata (versante Sud della q. 1326m del M. Catiello)


















Quel che resta dei bei cipressi di Castagnone

Contrariamente a quanto avviene nella maggior parte delle altre aree montane dell'Appennino, i Monti Lattari (e la Costiera Amalfitanaa in particolare) stanno vedendo un incremento del "turismo escursionistico" che per certi versi inizia a diventare preoccupante, dati i fragili equilibri naturalistici e paesaggistici di certe zone e l'impatto potenzialemente deleterio causato dall'accentuato via vai di camminatori di ogni tipo. Molti hanno interesse che il flusso turistico aumenti a dismisura ma il pericolo che questo si tramuti in uno sfregio del patrimonio montano è oggi, a mio parere, molto alto!
Non tutti hanno rispetto per i luoghi e in giro c'è chi vede nell'Escursionismo solo un'altra "vacca da spremere"...
Il giorno in cui le Montagne diventeranno come le spiagge d'estate (o la cima del Corno Grande ad Agosto), non mi appassioneranno più e mi cercherò altri luoghi del cuore.

H O M E

Foto e testi di Francesco Raffaele, 2019 e 2021
[ Fotografie con Eos 6d + Canon 24-105mm L ]