NOTE:
[1
] - G. Alessio 1958, C. Battisti, SE 1932 e Sostr. 1959; G. Alessio e M. De Giovanni, 1983 etc. Però va aggiunto che nella romanità erano numerosi i casi di nomi personali e gentilizi in
Vel-, molti dei quali sicuramente di origine etrusca:
Vel, Uel è una radice comune a numerosi nomi e composti etruschi (Monti Volsinii, Velletri, cfr. anche Pittau, Diz.) e italici (
tribus Velina Piceni, i
Uelienses di Plinio, la cilentana
Velia-Uelia, il
Lacus Velinum,
Uelabrum etc.) e, per restare in tema di avifauna tipica del Velino, l'it. "avvoltoio" e lat. "Vultur, Uoltur" (a loro volta all'origine di diversi toponimi e oronimi in Italia!) potrebbero essere etimologizzati come "Uccello di (o sacro a) VEL (una divinità etrusca; cfr. Cortelazzo, Cortelazzo e Zolli in: DELIN, dove si accenna anche al possibile deverbale da vēllere, "strappare") oltre che, eventualmente, come "uccello che vola (assai) in alto".
(Il nome del fiume Velino, anticam.
Avens fl., deriverebbe invece da una base pre-latina
*av- / au- "fonte, corso d'acqua", per H. Krahe, Unser ält. Flussnamen... 1964, 43).
[2] - G. Alessio (in DEI e LE), G. Alessio e M. De Giovanni, Preistotoria e protostoria.... 1983; E. Giammarco (in: LGA, 1960, LEA 1986 e TAM 1990). Anche
cataforchio.
A Palombaro
cafuorchie è "stanza piccola e misera" (V. Aquilante, Lu Palummanese, Glossario.., 2023), senso forse traslato da "spelonca, nascondiglio, rifugio" ("topaia").
Nel Napoletano
cafuórchio è “tana, bugigattolo” (D’Ascoli, Nuovo voc dial nap, 1993, 129, con etimo spiegato da
ca-/cata-, rafforzativo +
forica, fogna, acquedotto). De Ritis, Voc. Nap. 1845 (anche Rocco, Voc., 1882, A-C): "cavo di monte, di terreno, di albero, perciò tana, nido etc.". Quindi il suff. pare qui originato dal dimin. o peggiorat. lat. "-cŭlo" (cf.
tòrculum > torchio).
Caverna pare modellato su un (ital.?) *
cafurno, ma va comunque evidenziato che l'origine etimologica del lat.
cavum (già
covum) è incerta/discussa (DELIN, Devoto 1968).
Per quanto riguarda la formante e il suffisso originari (-OR-NIA, opp.
-er-no,
-ur-no), cfr. i vari casi di oronimi e idronimi italico-prelatini: M. Taburno, Tiferno, F. Aterno, Flaturno...
Da notare infine la diffusione del toponimo
Gàfaro, Càfaro, Caffaro (anche cognome),
Cafarùne (Accattatis, 1895) in area calabrese, con eguale significato: potrebbe però trattarsi di una coincidenza, essendo il termine (solitamente) fatto derivare dall'arabo
hafr ("fosso, burrone"; J.B. Trumper et al., Topon. Calabr., 1990, 180-1, 195, 197, 203, 205; Alessio STC 1939; Rohlfs, DTOC 1974, 35, 120).
[3] - F. Ciaglia, Le ascese al Velino e Sirente nell'Ottocento, 2022; A.G. Segre, Monte Velino. Esplorazioni e cartografia primitive, in:
L'Appennino, 1977 (2), pp. 34-36.
[4] - Si veda V. Abbate, L'alpinismo sui monti del Velino e del Sirente, 2023, pp. 118, 125 (per "1a cresta" s'intende quella sopra-presso cui si sviluppa la Gallina-Baracchi). Il volume è imprescindibile per analizzare la storia alpinistica di queste montagne, malgrado molte salite meno recenti siano prive di cronache scritte/ pubblicate.
[5] - V. Ferrari, "Pizzo Cafornia, Direttissima dal versante S" in:
L'Appennino, 1982/2, p. 43-44, con uno schizzo (non dettagliato: più utile la descrizione). Salita quindi nell'inverno '81-82. V. descriz. in Iursici, 2012 (cit. per esteso qui sotto).
[6] - I
Pilastri SSE di Pizzo Cafornia sono (su CTR 1:5000) q. 2133 - 2140 m e, quello più a monte, (s.q.), 2250 m ca. Vi sono state aperte più difficili vie dai fratelli Ranieri e C. Iurisci.
La
via Iacuitti risale a circa metà anni '80. Si veda per descrizione
e foto: Iurisci, Ghiaccio d'Appennino, 2012, pp. 269 seg. (NB: la traccia nelle due fig. riporta la "via Gallina-Baracchi", che comunque non è lì descritta, erroneamente molto più a des./E di dove passa in realtà). Oltre a questo preziosissimo volume sulle salite invernali, si veda anche la nota guida di C. Landi Vittorj, Appennino Centrale, CAI-TCI, 1955, pp. 182-184. Il Pizzo Cafornia è, per la sua conformazione ed esposizione, meno attraente per lo scialpinismo (ad eccez. del
Gran diedro per lo sci ripido e le Coste SE) e per la roccia (malgrado la presenza in quota di vari torrioni, placche e spuntoni di calcare compattissimo).
[7] - C. Iurisci, op. cit. 2012, pp. 274-275; è la più tecnica di tutte, valutata (in invernale) PD+/AD- (max 55°, II).
[8] - Ne approfitto per ringraziare l'amica Francesca Ortolani "
B.O." che, in anni recenti, mi ha proposto queste ascensioni sui bei versanti S di Velino-Cafornia (le mie trasferte abruzzesi sono solitamente orientate più su Maiella e PNALM).
[9] - La valutazione INVERNALE delle vie (Cfr. Iurisci, 2012, loc. cit.) varia tra PD(-) e PD+ (unico PD+/AD- è per quella più orientale, a E dei Pilastri).
Se è vero che il ghiaccio facilita i passaggi più "tecnici" in progressione con una o, meglio, 2 piccozze, è inutile dire che l'ambiente invernale presenta ben altre incognite: la possibilità di trovarsi a 55° su ghiaccio duro non è equiparabile a quella di starci quando il terreno è asciutto, anche perché, seppur in assenza di passaggi difficili o esposti, in realtà quasi tutta la salita è sul ripido (oltre 35°) quindi una disattenzione o inciampo si possono pagare care (perciò una piccozza può fare comodo anche nelle salite non invernali!). Probabilmente quindi, la "valutazione d'insieme" di queste vie sarebbe soggetta a perdere almeno "mezzo punto/+" se le si considera "in estiva", ma restano i "caveat" su ambiente e pendenza. [F.R.]