Escursione:
Piani di Giffoni - Vena d'a mola - Valico Acquafredda - Varco della Giumenta - Crestone - Raione (Accellica Sud) - Varco del Paradiso
(10 Marzo 2009)

Prologo

Due giorni prima, domenica 8 marzo (2009), per un problema con l'auto, resto "a piedi" con tre amici presso un distributore di benzina a Fuorni (SA), senza poter prendere parte all'escursione di quel giorno [da Vassi, fraz. di Giffoni V.P., a Capo di Fiume] con gli altri Lerka Minerka. Avevo già perlustrato la zona a nord di Giffoni (a piedi, provenendo dalle valli del Sabato o del Calore, o in auto) ma mai partendo dai Piani di Giffoni. Che peccato.
Martedì 9 mi sveglio alle 6:30 ma il tempo è brutto. Devo tornare a Salerno per recuperare l'auto... ma non solo! Consulto il meteo su internet e si prevede un'ottima giornata per il giorno dopo, martedì 10 Marzo, che è anche il giorno del mio compleanno. Ormai ho deciso. Devo farmi un regalo coi fiocchi (di neve)!

Quello che segue (inframezzato alle foto scattate il 10 marzo 2009) è il reportage che scrissi il giorno dopo la mia prima risalita invernale dell'Acellica. Da allora sono/siamo tornati altre volte nel territorio giffonese dei Monti Picentini. Per vari motivi, ho avuto il tempo e la forza di pubblicare il testo e queste +50 foto solo a quasi un anno di distanza da quel magnifico giorno (oggi, 19/2/2010).



10 marzo 2009


Parto da Marano (Na) di buon mattino, ma sono già quasi le 10:00 quando mi congedo dal capo officina della zona industriale di Salerno che ha preso in consegna la mia macchina guasta. Con l'altra auto, regalo di mio nonno 94enne che ormai da più di un anno ha smesso di guidare (!!!), faccio la strada per Giffoni Valle Piana.
E' suggestivo il colpo d'occhio sulle cime del gruppo del mt. Mai e poi la Punta di Tormine che, delicatamente brizzolate dalle spruzzate di neve dei giorni scorsi, emergono con un certo distacco fra le brune cime delle alture circostanti.
Ma quello che impressiona davvero è la vista all'Accellica che già dal lungomare tra Salerno e Pontecagnano appare in tutta la sua maestosa mole.
Pare un'aquila che vola nell'azzurro del cielo con candide ali bianche, e al centro un becco prominente e minaccioso (il "Ninno" o "Nenne" o "Girasole" che divide le due dorsali del monte). Difficile non distrarsi mentre si è alla guida. Quando poi spunta da dietro ai ruderi sulla cima del colle di Terravecchia, l'Acellica sembra proprio n'auciella, un grosso rapace che si appresta a posarsi sulla sommità del castello (vedi foto quì sotto).
Nell'avvicinarmi a Giffoni, mi fermo un paio di volte per scattare foto dalla distanza. Cielo blu, buona limpidezza dell'aria, forse non quanto domenica ma, contrariamente all'altro ieri, adesso non c'è una nuvola in zona.
Compro uno sfilatino e m'infilo con l'auto in mezzo agli operai che lavorano nella stretta stradina tra le ultime casette di Vassi, frazione di Giffoni Valle Piana.
Subito dopo si esce all'aperto sulla via che costeggia il fiume Picentino: seguendola si raggiunge in pochi chilometri Cucchiaduro e la Centrale elettrica sotto Serra Figliorito, dove il torr. Picentino si unisce all'Infrattata che proviene da nord-ovest. Da lì sono partiti gli amici Lerka l'altro ieri, ma io non intendo arrivarci.
Sono solo e voglio approfittarne. E poi la Grotta dello Scalandrone l'ho già vista l'anno scorso (la raggiungemmo dalla Valle del Sabato - Casa Rocchi - Varco della Rena) anche se avrei voluto scattarci qualche altra foto con un flash migliore e semmai il cavalletto nella stagione in cui il laghetto e la cascata sul fondo della prima sala sono al massimo livello. Ma prima o poi l'occasione ricapiterà.

Come avevo deciso il giorno prima, non percorrerò il sentiero per Capo di Fiume, ma salirò in Auto ai Piani di Giffoni. Poi si vedrà.
Quindi, dopo le ultime case di Vassi, giro a destra per il primo ponticello e mi porto sulla bella stradina asfaltata che in meno di 15 Km raggiunge i Piani.
Si sale tra stupendi noccioleti e castagneti, qualche casetta isolata, numerose fontane e un paio di punti panoramici da dove si può osservare l'intera valle del Picentino e le frazioni di Giffoni, fino al mare e alle creste orientali dei Lattari. Quese vedute mi costringono ad un'altra sosta, e quindi impiego una mezz'oretta per raggiungere la Caserma Forestale sui Piani di Giffoni. Chiedo informazioni a un vecchio boscaiolo con tanto di ascia, "sono un'altra seina di chilometri" -mi dice- e mi avverte di tenere la sinistra quando incontrerè la stradina che viene da Montecorvino. I boschi si fanno più fitti, e in due - tre tornanti rallento perchè l'auto passa sul basolato su cui scorrono esili torrenti d'acqua gelida... ogni tanto sul fondo stradale s'incontra qualche bel "pescone" (masso) da evitare accuratamente, per non demolire anche quest'altra auto.
Alle 11:00 in punto sono alla Caserma Forestale (745m) sui "Piani di Giffoni", quasi pronto per la partenza. L'Accellica si mostra da quì in tutto il suo splendore, la roccia grigia dei contrafforti meridionali e la neve recentemente caduta che ne imbianca parecchi punti, benchè esposti a sud. E' un pò tardi e spero di riuscire a procedere velocemente: anche per questo ho lasciato a casa l'attrezzatura per le macro (sperando di non cadere in tentazione), comunque non c'è ancora il risveglio della natura che nelle prossime settimane esploderà a nuova vita tra questi posti, con la bellezza delle fioriture multicolori e le migliaia di piccoli esseri che ritorneranno ad essere attivi dalla Primavera ormai imminente...
Chiusa la macchina e indossati gli scarponi mi lascio alle spalle il rifugio e parto seguendo la stradina per un buio tornante, dopo il quale torna a battere il sole e mi svolazza davanti un bellissimo esemplare di Inachis Io (Pavone di Giorno): non posso fare a meno di seguire la coloratissima farfalla in una radura, finchè non riesco ad avvicinarmi senza spaventarla per scattare poche foto prima che prenda il volo verso luoghi dove non posso più seguirla.
Mi rimetto in strada e poco dopo raggiungo uno sbancamento di terra chiara (stesso colore e consistenza di quella del Varco della Rena alcuni KM a NO). Da quì procedo verso NO: il sentiero che seguo inizialmente (106B) è quello che porta al Butto della Neve, il pauroso baratro che precipita con notevole pendenza per più di 700m (!) dal Nino dell'Accellica sotto il Varco del Paradiso, fin giù alle sorgenti del Picentino.


Seguo il sentiero che in alcuni punti lambisce un parapetto meraviglioso del costone da cui si ammira l'impressionante salto delle pareti verticali sotto la cima nord del monte, e poi il Ninno, il Butto della Neve e una cascata poco più sopra del fondo (Trellicina) ove si apre in qualche punto l'angusto accesso della Grotta dello Scalandrone. In alto una grossa macchia scura dovrebbe essere la Grotta del Lamione. Chissà se qualcuno è mai giunto alla "mensola" strapiombante del suo ingresso. Approfitto della sosta per auto-scattarmi 2 foto e, visto che spesso perdo il sentiero per poi riacchiappare un paio di volte l'indicazione del sent. 106B, mi fermo per aprire le carte e vedere quanto dista l'altro percorso. Ogni tanto a casa mi piace "perdermi" nella consultazione delle IGM e delle fotografie satellitari di Google Maps/Earth. Ma ora non sono a casa, quì non ci sono mai stato ed è meglio non perdersi !
Sto attorno ai 1000m, in un punto dove il sentiero 106B ancora deve piegare decisamente a N per l'ultimo tratto che conduce al Butto. Allora devo deviare decisamente a Sud tenendomi a mezza costa per raggiungere il sent. CAI 103A (ex 3a) che sale al valico dell'AcquaFredda.
Mi sento bene fisicamente (nonostante la solita partitella di calcetto della sera prima), ma ormai il fitto bosco fa decisamente da scudo al quasi mezzo metro di neve fresca recentemente caduta, il che rende la salita assai più faticosa di come sarebbe in altre stagioni su terreno.
Neanche in questi momenti rimpiango di essere salito con uno zaino abbastanza pesante. Quello che davvero mi innervosisce è l'aver dimenticato di mettere le lentine a contatto. In montagna perdere gli occhiali può essere pericoloso, ma quello che mi dà sui nervi è il sudore che m'imperla la fronte e che scende copioso sugli occhiali, appannandomi la vista. Non devo bestemmiare per un motivo così futile e per una mia banale dimenticanza. Poi, con quello che mi aspetta ed essendo da solo, è meglio non scherzare coi santi.
Però l'incedere lento e malsicuro sarebbe assai più piacevole se almeno potessi godermi le -spesso strane- forme dei faggi nel bosco, i ghiaccioli che a decine luccicano al sole in alto sopra una rupe, e persino rintracciare i segni del CAI.
Mi imbatto diverse volte delle impronte di un grosso canide, troppo grosse per essere quelle di una volpe: potrebbe essere un solitario lupo picentino? In alcuni tratti sembra seguire sistematicamente la segnaletica, e un paio di volte le impronte si sovrappongono a quelle di un piccolo mammifero. Di impronte di scarpe invece, non c'è traccia, eccetto quelle che mi lascio dietro io.

Dopo aver superato senza problemi un valloncello, continuo in dir SE fino a incrociare di nuovo gli incoraggianti (è doveroso dirlo) segnali biancorossi.
Questo sentiero attraversa il valloncello successivo (quello più a S del precedente) in un punto dove c'e' molta neve caduta dall'alto, quasi come una cascata bianca di ovatta tra la terra scura. Meglio fare attenzione: scivolare mi costringerebbe a risalire di almeno 15-20m ... se tutto va bene !
Riprende la salita decisa e la neve rende la percorrenza in questo tratto veramente lenta. Sono ben lontano dal massimo dell'affaticamento (anche perchè l'aria s'è fatta fresca) ma camminare quì senza le ciaspole è veramente arduo: un passo non affondi, l'altro passo sembra che la neve ti tenga ma poi cadi di botto di una trentina di cm (e talvolta di più, con la neve che arriva fin oltre il ginocchio), un altro passo ancora becchi la vegetazione fresca o qualche tronco bagnato sotto la neve e scivoli o fai uno sforzo immane per tenere l'equilibrio. Per mantenermi meglio e dare una mano alle gambe mi procuro un bel bastone (un'ora dopo mi scivolerà perdendosi velocemente in un canalone bianco). Dopo un punto in cui lo stretto vallone si apre un pò, intravedo dritto (a E) il cielo oltre la coltre di alberi secchi: quello è il cielo sopra Acerno e i Picentini orientali! Ormai sono sicuro di arrivare in cresta.
Mi fermo qualche altra volta a respirare, a mangiare un pò di neve, e poi a bere un pò d'acqua fresca. Peccato non avere una liquirizia, solo caramelle balsamiche. A un'ennesima sosta, sparo qualche raffica con la reflex ad una piccola stalattite arancione di cellulosa (?) congelata che esce da un tronco spezzato. Poi m'infilo sotto un paio di faggi dai tronchi ritorti, come creature di racconti di fantasy e, molto lentamente, faccio gli ultimi passi fino alla sospirata prima mèta, la dorsale sud.

Sono sbucato sul Valico che sta in alto sopra la Sorgente dell'Acqua Fredda e il Calancone (IGM). Poco a sud si staglia la cima del Timpone (1444m), la propaggine meridionale dell' "Accellica dei Piani", cioè la cresta che va da Sud a Nord in direzione del Varco del Paradiso. Per la cima manca più di un chilometro di cresta innevata in direzione N. Spero che quì il vento abbia spazzato via la neve e che si possa procedere più agevolmente.
Ma quando arrivo a scollinare, ogni pensiero viene fagocitato dalla bellezza del panorama che si offre da NE a SE, con le Raie e Costa Monacesi che sovrastano il Valico delle Croci di Acerno, e poi il Polveracchio con la sua lunga dorsale che si alza alle spalle di Acerno per perdersi verso Calabritto, e poi i torrioni degli Alburni e la costa Cilentana... I ricordi tornano indietro di qualche anno, quando nella calda estate del 2005 raggiungemmo in tre questo punto partendo dalle Croci di Acerno per il Bosco dei Pellegrini. La risalita del versante SE del Timpone fu un'impresa, attraverso rocce, foglie scivolose, in uno stretto canale fangoso sormontato da una galleria irta di spine, tra ragnatele, insetti e un'umidità allucinante. Troppo bello.



Riesco a liberarmi dei pensieri, e dopo gli ennesimi scatti fotografici, parto decisamente verso Nord.
Poche centinaia di metri, un pò su rocce un pò su neve. Più o meno in corrispondenza dell'apice del Vallone che ho attraversato quasi due ore prima (per passare dal sent. 106B al 103A) s'incontra il Varco della Giumenta, così chiamato perchè, come precisato sul nuovo libro di Sentieri dei Picentini, è il punto oltre il quale nessun bovino può spingersi.
Quì e in altri punti è necesaria cautela (specialmente con la neve) e in un punto, prima della cima sud, c'è anche un breve tratto provvisto di cavo d'acciaio.
Cammino per pochi metri lungo una crestina con un baratro senza fondo alla mia sinistra e un bosco di faggi che crescono su un pendio di circa 60° a destra.
In vari punti ci si deve arrampicare: se non si soffre di vertigini, con l'erba e le rocce non ci sono grosse difficoltà... ma la neve, sebbene ancora non ghiacciata, può essere insidiosa. Per alcuni passaggi mi porto poco sotto la cresta sul lato E, fino al boschetto, per poi uscire per l'eenesima volta sulla dorsale che ora piega leggermente a NE. Mi guardo indietro: ho percorso già quasi un chilometro di cresta quasi completamente innevata: la marcia è assai più veloce di quella delle ore precedenti.

Mentre scruto l'orizzonte a sud, vedo una figura che procede lentamente lì dove sono passato io un'ora prima.
Ho pochi dubbi su chi possa essere, anche perchè mi pare che proceda piuttosto velocemente. Gli faccio un fischio e lo saluto (vedi i due panorami quì sotto).
Io non resisto per più di pochi minuti senza fare qualche scatto verso uno dei tanti punti che la vista a 360° offre, e questo mi rallenta... però quando mi metto in moto quasi corro, visto che il tempo non è dalla mia parte (bisognava partire non oltre le 9:30 per fare con tranquillità questo percorso che io ho incece cominciato alle 11:00 passate). Anche per la questione del tempo decido di abbandonare l'idea di mangiare quando arriverò in cima: comincio ad addentare lo sfilatino che per fortuna non è ancora diventato un calippo (l'ho tenuto in una guaina col cavalletto).
Sandro Giannattasio sulla cresta sud dell'Accellica

Fa fresco ma il vento è leggerissimo e la temperatura gradevlissima: bassa ma con sole e quindi non sudo neanche più. Ricompare la magnificente mole dell'Accellica Nord, con i suoi arditi faggi che crescono su rocce sopra baratri di centinaia di metri. La luce è più dura per fotografare, ma poco male: quello che volevo l'ho fatto, ormai sono per l'ennesima volta sulla cima Sud dell'Accellica (il "Raione", 1606m).
Poche decine di metri dietro di me chi mi segue ha guadagnato terreno. Se è chi penso mi raggiungerà oltre la cima.
Continuando a N oltre la vetta, si arriva al punto in cui le balze sudoccidentali della Savina, s'impennano per unirsi all'angolo retto formato dai due tronconi dell'Accellica: da quì, per via ferrata, pochi mesi fa, a fine 2008, raggiunsi la cima Sud partendo dalle Croci di Acerno con gli Amici Lerka e abbandonandoli poi al loro appaciquaramento per superare tutte le groppe della Savina e il tratto ferrato finale. Altra avventura!
La cima dell'Accellica (1660m) vista dalla vetta Sud (1606m)
Apre foto differente

Ancora più a nord del punto in cui Savina e Accellica Sud si saldano, comincia la ferrata "Francesco Raso", disposta dal CAI di Salerno, che porta giù alla base del Ninno e poi su verso l'inizio della cresta Nord al di là del Varco del Paradiso.
Scendo fin quasi al punto più basso, quello dove ci si trova di fronte al Ninno e che ho già raggiunto altre due volte.
La ferrata garantisce una discesa sicura, anche se sarebbe meglio essere provvisti di imbracature. Dopo il primo tratto di ferrata, sull'ultimo pratino, lascio lo zaino assicurandomi che non si muova.
In alcuni punti mi affido completamente e ciecamente alla capacità di tenuta degli spit fissati alla roccia. Molto più sicuro che tenersi solo alle rocce, che in questo punto sono troppo infide e friabili.
Intanto il mio "inseguitore" ha raggiunto la cima e si cambia la maglietta per stendersi un pò al sole scribacchiando come al solito sul libro di vetta. Io, mi fermo poco prima dell'ultimo balconcino, quello dove c'è un bello spuntone alto più di un metro (ma su cui è meglio non appoggiarsi, perchè barcolla paurosamente): c'è il ghiaccio a terra e i freddi cavi d'acciaio cominciano a farmi perdere la sensibilità nelle mani. Impossibile arrivare alla base del Ninno in queste condizioni. Faccio bene a fermarmi !
Ultime foto di rito al Ninno e risalgo. A un tratto mi trovo con il cavo alla mia sinistra e vedo, dalle impronte lasciate sul ghiaccio nei ripiani dove ho appoggiato i piedi scendendo, che all'andata ero dall'altra parte.... e in effetti non mi sento sicuro a salire a destra (anche perchè ho il polso sinistro più fragile del destro): devo fare solo un passo indietro. Più facile a dirsi che a farsi. Non è la prima volta che mi trovo in una situazione simile, ma le altre volte se ho rischiato qualcosa, sono state al massimo le gambe, visto che sotto di me c'era solo qualche metro di vuoto (l'ultima volta capitò proprio al ritorno dall'Accellica Sud, sul versante N della Savina, sopra la sorgente Pietra con l'Acqua). Comunque dopo alcuni secondi di meditazione (forse anche una breve preghiera), qualche respiro profondo e un paio di gocce di sudore freddo, faccio un salterello all'indietro, senza mai lasciare con la destra il cavo e fregandomene altamente se, nell'atterraggio, batterò sulla roccia una delle due fotocamere che ho, una al collo e l'altra sotto l'ascella.
Atterraggio morbido ma non perfetto: l'inerzia mi porta a sbilanciarmi leggermente verso sinistra. Una tirata al cavo con la destra e sto attaccato alla parete. Niente di serio, niente di simile a certi film dove il personaggio di turno inciampa rischiando di cadere, salvo poi appendersi sul ciglio del burrone! Ma comunque mi meraviglio un pò che il cuore non mi sia balzato in gola. Stavo sopravvalutando la capacità di tenuta dei cavi o delle mie mani ? Non so, ma cadere da lì nel vallone del Ninno significa fare un salto di almeno 40 metri, prima di beccare i primi faggi "rampicanti" e poi il "fondo", cioè profondi crepacci con pareti ad almeno il 50% di pendenza: quì infatti il varco (e la parete NO della Savina), scendono a picco per un bel pò, dando alle cime un aspetto alquanto "alpino".
Dall'altro lato (destra, SO) c'è il Butto della Neve: la neve vi cade e può conservarsi per tutto l'anno sotto lo strato di fogliame e nell'oscurtità di questo orrido e profondo imbuto di roccia.
Non so che avrei dato in quel momento per vedermi dall'alto, a volo di corvo, impegnato tra le rocce, nel bianco e nel blu, un puntino quasi immobile e invisibile, vicinissimo al "becco" dell'immenso rapace pietrificato, la Celeca, che stende le sue ali lunghe chilometri...



Risalgo gli altri tratti più semplici di ferrata e intravedo il mio collega, che però non scende. Quando sono di nuovo in cima (dove all'andata mi ero fermato giusto il tempo di un paio di scatti) apro il Libro di Vetta per scrivere le mie impressioni. "Davvero mi sono fatto un bel regalo oggi !"...
Il mio collega ha scritto d'essere rimasto deluso dal mio atteggiamento da "Lupo Solitario". Io ero sicuro che non poteva che trattarsi di Sandro Giannattasio, del CAI di Salerno, che ho recentemente incontrato alla presentazione delle nuova carta dei sentieri dei Monti Picentini... Quindi ero sicuro che sarebbe sceso anche lui a dare un'occhiata al Ninno. Prima dell'incontro al palazzo della provincia di Salerno avevo incontrato Sandro due volte, e in entrambe le circostanze proprio lì, tra le due Accelliche: la prima volta scendendo verso il Varco dalla Cima Nord, sulla ferrata sotto la base occidentale del Ninno; la seconda volta, quando sono salito dalla Savina, e ho aspettato che lui e il suo amico Enzo Apicella risalissero nel punto dov'ero io (allo spuntone traballante), dove mi hanno fatto qualche foto e offerto del the prima di una breve chiacchierata sulla cima Sud. Mi dispiace di non aver potuto scambiare due parole con quello che credo sia il massimo esperto e frequentatore di questa meravigliosa montagna (su cui è salito più di 100 volte come mi diceva l'ultima volta). Ma, ancor di più, perchè pure lui ama profondamente queste montagne, e l'Accellica in particolare. Riparerò il giorno successivo, facendogli una lunga telefonata spiegando il mio apparente snobbismo del giorno precedente. Mi dice che il giorno prima lui era salito dal lato Acernese per il Timpone, poi parliamo di altri sentieri Salernitani e Avellinesi, della nuova carta dei Picentini, del CAI e di altro... Le impressioni, le sensazioni e le emozioni di chi ama questi posti sono spesso incredibilmente affini...

Dopo aver scritto una paginetta sul "libro di vetta" ed aver preso definitivamente coscienza di quello che è stata questa giornata, non c'è neanche tempo per cambiarmi. Devo tornare e anche velocemente, perchè il sole comincia ad abbassarsi.
Spero di raggiungere Sandro, ma so che è veloche e pure se io, nei tratti sicuri, corricchio tenendomi con i passi dentro le orme da me "scavate" all'andata, non lo vedo neanche: sulla parte più a sud della cresta non simuove niente...
Intanto le cime cominciano a colorarsi dei tenui e rosei colori del tramonto imminente ma, nonostante la luce ora molto più bella (fotograficamente) non ho molto tempo. Tralaltro, la stanchezza fa un pò capolino, ed è un fattore da tenere in conto quando si scende sulla neve. D'altra parte sono certo che al ritorno non avrò problemi di sentiero, perchè intendo seguire il 103A fino al Casone della Forestale sui Piani .
Ultimi scatti anche al Polveracchio e agli Alburni che si dipingono anch'essi di toni caldi con il sole che si abbassa dall'altra parte, tra le cime dei Lattari e il Vesuvio. La discesa sul tratto che all'andata mi aveva tanto rallentato è una passeggiata... sto attento a non prendere storte, ma i fossi lasciati all'andata mi facilitano molto.
A ogni passo o salterello, l'acqua che ristagna nelle mie scarpe fa un rumore tipo il quà-quà delle papere: le scarpe sono ottime (anche se un pò troppo grosse e rigide per i passaggi pericolosi) non mi hanno mai tradito e sono a prova di storta. Le ghette sono invece quasi inesistenti: sprovviste di laccio da passare sotto la suola, è quasi come se non ci fossero proprio: da sotto la neve entra copiosa... ma ormai non m'importa perchè i piedi sono bagnati ma non congelati, non fa molto freddo e tra non molto mi cambierò alla macchina.

Questa volta seguo per intero il sentiero 103A e dopo una velosce discesa "a spezzacosce", tenendo gli occhi aperti sui segni di vernice fresca bianco-rossa, mi ritrovo su di uno spuntone che non avevo percorso all'andata (perchè mi ero innestato più in alto su questo sentiero, venendo da N).
E' la cosiddetta Vena d'a Mola un roccioso stretto pianoro arcuato che è racchiuso a N dal valloncello che sale al Valico della Giumenta, e si apre a S sui Piani di Giffoni, Giffoni e il Mare. Mi devo fermare e stavolta tiro fuori pure il piccolo ma pesante vecchio cavalletto d'acciaio. Altri scatti al tramonto.
Comunque è tardi, e il sole si sta abbassando dietro le cime di ponente. Spero di arrivare presto giù e di non perdere la via, perchè vorrei fare qualche foto alla parete meridionale dell'Accellica con i colori del tramondo o del crepuscolo.
Ultimo sguardo sulle cime gemelle dei mt. Mai e Faiostello, e altri ricordi di belle escursioni al Mai (da Pizzo San Michele, per le Serre del Torrione e, ancor prima, quella per il Varco di Sua Eccellenza e Monti Tre Cappelle, sopra un verdissimo Vallone della Tornola).
La segnaletica, anche sotto la Vena della Mola, è fittissima e non la si può perdere neanche col buio che ormai incede. Si discende lungo il lato NO della Vena e in pochi minuti sono allo sbancamento bianco (visibile anche sulle Google Maps) da dove all'andata avevo seguito l'altro sentiero. Poco dopo, rieccomi sulla sterrata e infine, alle 19:00 passate, al Rifugio Forestale dei Piani. Mi cambio e mi metto in macchina, dopo aver acceso il telefono e aver letto i numerosi sms di auguri e di tentativi di chiamata....
Ultime soste ad una fonte sulla via del ritorno, e poi al punto panoramico per un paio di scatti notturni di fine giornata.
Dopo aver scritto la prima versione di questo reportage, all'indomani dell'escursione in solitaria, ho scaricato le foto su PC e aggiunto altre informazioni, notizie, ricordi e sensazioni che mi sono venute in mente guardando le immagini. Spero davvero di ripetere l'anno venturo quest'esperienza indimenticabile, semmai stavolta in buona compagnia.
Grazie al Cielo... e alla Celica, per quel dono.
Foto e Testo di Francesco Raffaele
(foto: EOS 40D + 17-85IS; 6 scatti con Lumix DMC-FZ28)

Scheda sull'Acellica e links alle photo-galleries
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